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La ballata di fine millennio - Rassegna stampa

 

Il cabaret delle utopie infrante
di Ugo Volli
La Repubblica - 21 febbraio 1996

Mancano poco più di mille giorni al nuovo millennio e il vecchio agonizza. Certamente questo è un dato arbitrario, fondato su un sistema di numerazione convenzionale. Ma non è un caso la necessità di pensare quanto di grande e terribile è accaduto durante questo secolo - l’affermazione e la caduta del socialismo e del fascismo, con la terribile appendice del genocidio, il trionfo della società dei consumi, la mondializzazione dell’ economia e della cultura.

In genere l’arte e il teatro non osano occuparsi di questi temi, e continuano a parlare la stessa lingua inerte e indifferente, oggi come vent’anni fa. Le eccezioni, i tentativi di fare i conti con la memoria dei lutti e delle illusioni e con l’angoscia del presente, sono rarissime. Ballata di fine millennio di Moni Ovadia è una di queste rare eccezioni (al Piccolo Teatro fino a domenica). Lo spettacolo è abbastanza simile nella struttura a Oylem Goylem, il cabaret yiddish che ha procurato tanta popolarità a Moni Ovadia: canzoni e musiche intervallatate da brevi monologhi, che spesso hanno la forma di storielle umoristiche ambientate nei ghetti ebraici orientali. Senonché qui le musiche sono più varie, vanno dai songs brechtiani a tanghi, per concludere con Leonard Cohen, tutti orchestrati con un suono più acido e metallico del consueto, in cui echeggiano le esperienze klezmer. E le storielle si alternano con brani di Walter Beniamin, di Tucholski, di Karl Valentin, dello stesso Brecht. E’ anche più articolato l’apparato spettacolare: una coppia di danzatori volteggia spesso in mezzo al palco, fra pacchii di giornali, candele accese, un telone obliquo sul fondo su cui qualcuno ha scritto ‘W Brecht’. La bravissima TheaterOrchestra si muove come un attore collettivo, una sorta di coro, e Moni Ovadia è affiancato da tre ottime cantanti, Mara Cantoni, Lee Colbert, Elena Sardi.    
Ma quel che conta in questo spettacolo non è solo il respiro profondo che lo anima, il ritmo, l’ambientazione. Contano le domande che sono sostenute da quel respiro e lo motivano; preme la volontà di capire: come sia potuto accadere che le speranze di innovamento incarnate nel comunismo abbiano portato alla dittatura e alla stagnazione; e come la fine di questa abbia travolto senza residui anche quei valori; e perché oggi sembri sopravvivere solo l’antica e altrettanto tremenda fame dell’oro. A parte una specie di comizio esplicitamente autoironico, Ovadia non spiega e non teorizza. Semplicemente accosta le canzoni che riportano alla grande emotività collettiva dell’ethos comunista a cento piccole citazioni, tratte da un quadernino rosso, o da certi foglietti che gli escono dalle tasche del pesante pastrano che ha addosso. Ogni citazione è in fondo una domanda - una domanda decisiva e violenta, per lo più senza risposta. Il punto di vista di Ovadia affidato alle storielle ebraiche, allo humour acuto e impetoso della tradizione viddish. C’è un rapporto essenziale fra la storia delle rivoluzioni socialiste di questo secolo e la vicenda ebraica: un rapporto di adesione, di speranza e di sostegno che diventa delusione e chiusura. Su questa tormentata relazione si fissa l’attenzione di Ovadia, il suo specifico modo di capire. Ed è da qui, da un’esigenza etica immutata, che la bandiera rossa, buttata a terra e impolverata durante lo spettacolo, resta il segno di un impegno che vivrà ancora dopo la fine del secolo. Ballata di fine millennio è uno spettacolo importante e per nulla convenzionale, che nasce da una profonda necessità interiore. La sua forma è precisa, brechtiana non per obbligo storico. La sua coscienza è nitida, la sua interrogazione incessante il suo sguardo lucido e ironico. Chi vuol pensare al presente, può partire utilmente di qui.

 
Ballata-nrassegna © Photo: Maurizio Buscarino
 

 

La ballata di fine millennio - Rassegna stampa

 

Il cabaret delle utopie infrante

di Ugo Volli

La Repubblica - 21 febbraio 1996

 

Mancano poco più di mille giorni al nuovo millennio e il vecchio agonizza. Certamente questo è un dato arbitrario, fondato su un sistema di numerazione convenzionale...

 

 

Il diavolo in sinagoga

di Osvaldo Guerrieri

La stampa - 2 marzo 1996

 

Per Moni Ovadia, il più straordinario fenomeno teatrale di questi anni, essere ebreo é un'arte...

 
 

La ballata di fine millennio - Rassegna stampa

 

Il diavolo in sinagoga
di Osvaldo Guerrieri
La Stampa - 2 marzo 1996

 

Il nuovo fenomeno del teatro italiano strega il pubblico parlando di ebrei...


(leggi jpg allegato)

 
Ballata-Frammenti-1 © Photo: Maurizio Buscarino
 

La ballata di fine millennio - Frammenti di testo

(…)

Eh sì!
Davvero un grande, grandissimo enigma quello del denaro!
Ma perché tutti noi abbiamo la cattiva abitudine di soffermarci solo sulle qualità più accessorie del denaro, cioè la quantità, il possesso, quando invece il vero e profondo segreto del denaro consiste nella sua capacità cinetica, nell’arte del suo movimento?

 

Orbene Yankele ha acquistato un dipinto che gli piace moltissimo. Lo appende nel salotto di casa sua e lo contempla con la moglie innamorata quanto lui del magnifico dipinto.
Qualche giorno dopo viene a trovarlo l’amico Moishele, vede il dipinto e gli dice:

“ Mamma mia Yankele che bel quadro che ce l’hai! Perché non me lo vendi? “.
“ Cosa sei diventato tutto scemo Moishele? Ho pagato 200 dollari per qvesto qvadro! “.
“ Che problema ce l’è amico mio? Io ti do 250 “.
“ Ah! Beh! Se è così, come diciamo noi gli affari sono affari, prenditi il qvadro “.
Torna a casa la moglie di Yankele:
“ Dov’è il bel qvadro che mi piaceva tanto? “.
“ Sai amoruccio… E’ venuto Moishele, ha visto il qvadro, gli piaceva tanto, mi ha voluto dare 50 dollari di più così l’ho venduto e ho fatto un bell’affarone! “.
“ Un deficiente! Ecco cosa sei, un deficiente! Se ti ha dato 50 dollari di più, chissà qvanto quanto vale? Vai, corri, ricompraglielo “.
Yankele si precipita da Moishele e gli dice:
“ Moishele, tu sai come sono le donne, nu? La mia moglie mi ha fatto un testa così, le piaceva tanto il qvadro, lo rivoglio “.
“ Che cosa vuol dire «lo rivoglio» Yankele? Ti ho dato 250 dollari per qvel qvadro! “.
“ Che problema ce l’è Moishele? Ti dò 300, cash! Cantento? “.
“ Mmm… Va bene…  gli «affari sono affari» come dici bene tu… riprenditi il qvadro “.
Nel frattempo è torna a casa la moglie di Moishele:
“ Dov’è il bel qvadro che hai comprato da Yankele? “.
“ Sarai contenta di me! E’ tornato, lo voleva di nuovo, mi ha offerto 50 dollari di più di quello che avevo dato così io ho rivenduto e ho fatto un bell’affaruccio “.
“ Un asino! Un marito asino ce l’ho! Se ha dato 50 di più, pensa quanto vale, nan capisci proprio niente! Vai e ricompraglielo “.
E così la quotazione del dipinto sale come un ping pong: 300-350-400-450-500-600… l’ultimo a ricomprare il quadro è Yankele che l’ha acquistato da Moishele per 2000 dollari.
Se ne sta tornando a casa molto orgoglioso con il quandro sottobraccio, quando per strada un signore lo ferma e gli dice:
“ Mi scusi, ha intravisto il quadro che ha sottobraccio, la prego, me lo lasci guardare meglio… Ma questo dipinto è un capolavoro! Lei me lo deve vendere! Mi faccia un prezzo! “.
“ Parla facile lei! Ho dato 2000 dollari all’amico Moishele per qvesto qvadro! “.
“ Dov’è il problema caro signore? Gliene offro 4000 sull’unghia. Siamo d’accordo? “.
“ Mio caro signore! Qvesta è musica per mie orecchie!
Si dice da noi:  business is business! Prenda il qvadro, è suo “.
Nel frattempo Moishele ci ha ripensato e torna da Yankele per ricomprare il dipinto:
“ Avanti, rivoglio il quadro! Facciamo un piccolo trattativa, fai a me un prezzo ragionevole, ci mettiamo d’accordo tanto fra noi non ce l’è problema, lo sai “.
“ Mi dispiace caro Moishele ma non è possibile: non ce l’ho più il qvadro “.
“ Cosa vuol dire «non ce l’ho più il qvadro»? “.
“ Vuol dire che non ce l’ho più il qvadro. Camminavo per strada, un signore ha visto il quadro e ha detto «che bellissimo dipinto, lo voglio» ha offerto 4000 dollari, ho venduto, ho fatto un affarone “.
Moishele fa una faccia disgustata, un po’ triste e poi dice:
“ Yankele, dici hai fatto un affarone? Ma che razza di ebreo sei diventato??? Ci stavamo guadagnando così bene noi due!!! “. (…)

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